Venerdì, pesce. Nella quaresima imperitura di questo pezzo di Sicilia, Carlo ha elevato, per un giorno, un monumento a sua maestà la masculina, vera patrona delle sorti gastronomiche dei catanesi, che l’adorano.
Molti dei piatti che sentirete raccontare sono già stati descritti, in questo Forum, dall’Autore. Che s’è già speso la sua buona dose di articoli determinativi per cui qui parleremo solo di masculine, di ravioli, di tortini; senza la, le, gli e gliù! E’ di acclarata evidenza che i piatti sono Suoi!
Di fatto ci siamo divisi i compiti. Lo Chef organizza e sovrintende. La moglie dello Chef è deputata alle spesa mattutina, in luogo sicuro, certificato dallo stesso Chef. Lionello, promosso al rango di primo assistente, s’è scapicollato dalle ore 6,30 dalla natia residenza (dopo essere stato il giorno prima a Licata, eh!?) per essere puntuale sul posto. Io, terminati gli impegni di redistribuzione del prossimo da una località all’altra (fatevelo raccontare, io non c’ho voglia!) sono stato ammesso al sancta sanctorum in qualità di secondo assistente. Teresa, terminato il giro per acquisti nel centro storico-mangereccio in compagnia della moglie dello Chef è stata ammessa all’intermedio lavaggio del pentolame e la moglie dello Chef ha fatto tremare tutti, alle ore 14, quando si è accorta che al figliolame veniva destinata solo una abbondante razione di pane e salame. Per buon peso Lionello, moderno Proteo, divideva le sue articolazioni superiori tra il sapiente maneggio di cucchiarelle e coltelluzzi e l’altrettanto sapiente applicazione della lezione di Daguerre (fotografava, va!!).
A lui, in effetti, presente in ogni fase della preparazione, sarebbe spettato l’onere del racconto. Ma m’hanno delegato a me: uno con la scusa chesennò si autocelebrava, l’altra con la scusa che lei non si ripete, il terzo con la scusa che c’ha da fare a mettere in riga millanta e più foto.
Abbiamo iniziato con “sembra piccola pasticceria”… ve lo ricordate? Gambero avvolto in pistacchio, Polpo in nocciola, Cozza in mandorla e tonno nature, marinato con sale, zucchero di canna, pochissimo chiodo di garofano e spezie delle più varie. Buonissimo, il tonno. Ma anche tutto il resto pur se il pistacchio sembrava aver vinto la delicata opposizione del gambero.
A seguire, seconda entrata. Cazzilli di patate e baccalà mantecato su salsa scabecio. Qui il termine cazzillo è un omaggio alle origini del primo assistente, giacché la presenza del baccalà (qui inteso alla veneta, cioè stoccafisso) escluderebbe l’uso del termine nella sua proprietà. Ma consideriamola una commistione linguistica, solo linguistica però! In realtà il piatto è inserito nel menù odierno per ragioni dimostrative: nulla di filaccioso ha, il baccalà, così cunzatu. Evenienza sulla quale, in passato, qualche sciagurata aveva osato perplimersi!
Ed ha inizio il trionfo di sua maestà la masculina. Vengono dapprima serviti spaghetti amminuzzati (spezzati) con brodetto di masculina. Spolverati con abbondante pecorino sono la chiara dimostrazione di come il catanese se ne freghi di usi e costumi del bon ton culinario: formaggio - e per giunta pecorino da grattugia! - col pesce. Che, se freschissimo, regge stupendamente la prova. Il pesce era freschissimo e io, grazie ad una disattenzione di un sotto-sotto assistente (che aveva steso un piatto in più…) me ne sono mangiato DUE porzioni!!
Poi il tortino di alici e palamita, servito con la cipolla rossa agglassata in agrodolce. Qui l’agro è stato assicurato dal nettare delle nebbie padane, il balsamico nella sua versione giovane; e bisogna dire che non ha sfigurato.
Inclina ormai alla sua conclusione, il pranzo. Con un piatto degno dell’orpellosa arroganza dei siciliani. Là aveva suonato uno squillo il balsamico? Qui si risponde con un mosto cotto di uva nerello mascalese, spento con cenere di sarmenti della stessa pianta e stretto a fuoco lento per otto-dieci ore. Questo mosto ha una storia, che non posso raccontarvi, ma che è costato, a qualcuno, “’na pinna di ficatu”. Si dice così, da noi, quando si è costretti a privarsi di una cosa cui si tiene molto. Insomma questo mosto cotto che, secondo chi ha avuto il privilegio di assaggiarlo in purezza, non ha nulla da invidiare ad un balsamico tradizionale di quarant’anni quanto a densità, nota dolce e retrogusto di sostenuta acidità, è stato impiegato per rifinire due ravioli aperti di primosale, cosparsi dopo di mandorla attorrata e sminuzzata.
Virammo, con questo piatto, verso il dolce. Che sica pratica per necessità ospitale ma, sotto sotto, detesta. Detesta al punto di rimandarne l’uscita facendolo precedere da un brutto ma buono a modo suo: un fico secco farcito di paté di fegato di vitello. Lo vedete in foto. Più buono che brutto. Io, personalmente, atteso che non può essere forzato il sapore del paté di vitello, attendo di vederlo su una tavola tardo-agostana, dentro un fico bianco, fresco di appassimento sulla pianta.
Su questi ultimi due piatti abbiamo bevuto qualcosa di straordinario. Un vino botritizzato d'Alsazia, un Grains Nobles... oddio! non mi ricordo il produttore... cose da perdercisi!
E per ultimo il detestato dolce: un rotolo di pasta genovese farcito con gelo di arancia, guarnito di candito di arancia e nappato col sugo della canditura, accompagnato da un tazzina di gelo di caffè. Su questo abbiamo bevuto una Malvasia delle Lipari. Non lo dite a sica ma era tutto buonissimo!
Per gli astemi, more solito, preciso che abbiamo bevuto:
Pinot Bianco 2005 Cantina Produttori Terlano
Kirchleiten Sauvignon 2005 Tiefenbrunner
Gewurztraminer Cuvee Anne Selection de Grains Nobles 1998 - Schlumberger
Malvasia delle Lipari 2004 Antonino Caravaglio
Rum Demerara El Dorado 15 anni
Le foto:







