Non riesco ad individuare con precisione la mia prima volta in cucina. E' un accavallarsi nella memoria di sensazioni legate ai profumi, ai suoni che usualmente promanano dalle cucine. Anch'io ho avuto una nonna; la mia nonna materna, Giuseppina, che era la sovrana della cucina. Una di quelle nonne che si alzava la mattina alle 6, che preparava la colazione a noi nipoti e poi via, ad organizzare la spesa. Quindi a cucinare. Cucinare, mattina e pomeriggio. Il momento dei pasti era un momento direi sacro. Tavola a pranzo e a cena perfettamente apparecchiata e, qualsiasi cosa accadesse in famiglia, tutti assieme in un rito che si ripeteva giorno per giorno, e scandiva il ritmo dei mesi e delle stagioni.
E' a mia nonna che devo tutto ciò che so della cucina tradizinale. Sabati e domeniche passate accanto a lei ad osservare i movimenti a riempire naso e polmoni di profumi che sono ancora perfettamente nitidi nella mia memoria. Io la aiutavo ad impastare: quanti cavatieddi, quante pappardelle fatte insieme. E poi i mitici dolcini natalizi: il rito di tirar fuori la marmellata di fichi preparata nel settembre precedente, e poi il macinare le mandorle, le bucce d'arance e la cannella con lo zucchero, con quegli intensissimi profumi che ne scaturivano, con lei che fingeva di non accorgersi delle cucchiaiate che scomparivano nelle mie golosissime fauci.
Forse è vero che stare dietro ai fornelli è un po' anche non volersi sganciare da quei ricordi così nitidi; reiterare profumi, sapori, sensazioni per ricostruirue e rivivere atmosfere che se pur nostalgicamente, mi infondono una immensa quiete e serenatà.
