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gennarino.org • Leggi argomento - Mo' vene Natale...


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Mo' vene Natale...

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Mo' vene Natale...

Messaggioda TeresaDeMasi » 04/05/2004, 11:23

Lo so che siamo fuori stagione e poi, chi ha tempo non aspetti tempo (diceva sempre il mi' babbo...;)))
Trovata in rete, la metto qui per gli appassionati di pasticceria napoletana...

NapoliNatalizia

La tradizione della famosa e centenaria pasticceria Scaturchio
(Rosa Paletta)
All’ombra dell’albero di Na-tale e sotto lo sguardo bona-rio della Sacra Famiglia in-castonata nel Presepe, si consumail consueto rituale del cenone par-tenopeo. Alla fine, tra una chiac-chiera e l’altra, qualcuno dirà sem-pre: “E i dolci, dove sono i dolci?”.In quel momento, la padrona di ca-sa con sguardo sornione inizierà aservire la parata dei dolciumi nata-lizi tradizionali. Così, mentre i ra-gazzi guardano ammirati il vassoiopieno di “struffoli” a cascata equalcuno sgranocchia “roccocò”,si consuma l’atto finale di questogiorno di festa. Ma veniamo ad altridolci che imbandiscono le tavole ele vetrine delle pasticcerie di Napo-li in occasione di questa festa: “ so-samielli”, “roccocò”, “struffoli”,pasta di mandorla, “raffioli”, “mo-staccioli”, imbottiti, i “ministeria-li” e la “croccante”.


Gli “struffoli”discendono dagli “struggolos”, in-ventati nell’isola di Rodi e portatidai coloni greci in Magna Grecia.Da quel lungo periodo storico, Na-poli costruisce un dolciario allegroe vario. Un dolce di pasta a forma ditocchetti legati dal miele e cospar-so da festosi e variopinti confettini,diavolilli e scorzetta di arancia ecedro. Con lo stesso impasto, sipreparano la “croccante”, dalla for-ma non delineata, e la “cornuco-pia”, simbolo di buon augurio.

I“roccocò” sono, invece, un’espres-sione della cucina povera parteno-pea che con pochi ingredienti e tan-ta fantasia, riesce a soddisfare an-che i palati più esigenti. Questaciambella dall’impasto duro e conla fragranza di cannella, viene usa-ta anche come spuntino pomeridia-no per spezzare la fame. I maestripasticcieri, consigliano di sgranoc-chiarli insieme ad un buon cappuc-cino e ad una tazza di tè. Qualcuno,come Scaturchio, insigne maestrodel settore e discendente da una di-nastia calabro-austriaca impegnatada quasi un secolo nell’arte pastic-ciera, consiglia addirittura di anne-garlo in un bicchiere di vino liquo-roso.
I “susamielli”, così chiamatiper la forma ad esse, come i “roc-cocò”, sono di impasto duro a basedi farina, zucchero, mandorle, mie-le e leggermente più aromatizzatidegli altri. La storia racconta, untempo si distinguevano in diversespecie e forme, ma quelle caratteri-stiche sono tre: “susamiello nobi-le”, “Sosamiello per zampognari”e “ sosamielli del buon cammino”.Il primo tipo veniva offerto ai si-gnori di alto rango ed è di formacircolare; il secondo, di impastoscuro a forma di esse, veniva dona-to ai suonatori erranti nel periododella novena; l’ultimo tipo, ripienodi marmellata di amarena, si offri-va ai frati ed ai preti per divina itercessione. “Ma questo dolce - af-ferma Mario Scaturchio - per co-modità ha assunto nel tempo la for-ma ovale e il nome “la sapienza”.Di origine conventuale è anche “lapasta reale”, da non confonderecon quella di mandorla. Infatti, laprima è un impasto a crudo a basedi mandorle schiacciate dal rullo eraffinate, mentre la seconda è a ba-se di mandorle ripiena di frutta can-dita, ricoperta con zucchero fon-dente, modellata ed infornata. E’ aforma di cuore, tinta nel rosolio ro-sa, e reca nella parte centrale unconfettino argentato.La variante moderna di questodolce, quella con l’aggiuntadi uovo e a forma ellissoide, sichiama il “divino amore”. Semprecon la pasta di mandorla sono gli“imbottiti”, ripieni di cotognata efrutta candita, aromatizzati con lacannella e la vaniglia, ricoperti dicioccolata e preparati a forma dibanana e di spoletta. La carrellatacontinua con il ”mostacciolo”, aforma romboidale e compostoprincipalmente da farina e dal pe-sto, ricoperto da uno strato di cioc-colato. Di sovente il compagno divassoio (in napoletano: “Cartoc-cio” o “Guantiera”) del mostac-ciolo è il “raffiolo” (raffaiuolo),fatto di Pan di Spagna e crema diricotta, che per certi versi sembraimparentato con la cassata sicilia-na. Proprio su questo dolce, sononate le dispute gastronomiche tra icampani ed i siculi che risalgonofin dai tempi della dominazione a-raba.
La cassata napoletana è con-tornata dal naspro rosso, comeviene indicata dalla ricetta origi-nale di “Oplontis” (l’attuale TorreAnnunziata.), la cassata sicilianasi distingue, invece, per il bordo dipasta di mandorla al pistacchio. Suquesto tema, si aprì un dibattito inSicilia tra i maestri e gli addetti delsettore dolciario, al quale ha parte-cipato Mario Scaturchio, che di-scutevano sulla primogenia dellaoriginalità della cassata sicilianacontro quella napoletana. Non sisaprà mai quali delle due sia statala prima, ma indubbiamente havinto l’arte gastronomica. Ma nelperiodo di Natale nelle vetrinedelle tante pasticcerie fanno bellamostra di sé gli “sharmant mini-steriali”, inventati dalla stirpe de-gli Scaturchio come dedica alladama Anna Fonchez detta “l’ari-stocratica”. Sono di forma tondeg-giante di dimensione media e pic-cola, ricoperti di cioccolato e ri-pieni di una crema brevettata dallastessa famiglia. In conclusione diquesta carovana dolciaria, possia-mo inserire la prorompente pastie-ra. Non è un dolce natalizio, anzi èaddirittura una prerogativa dellasettimana Santa di Pasqua, ma inapoletani la amano così tanto dagustarla per tutto l’anno, non te-nendo più conto delle esigenze delcalendario. E’ vero che il popolopartenopeo è tradizionalista, masu determinate questioni è diven-tato eterodosso, quindi, la pastierasi consuma anche a Natale. Secon-do i dati relativi alle vendite deidolci natalizi, tra i più richiesti do-mina il roccocò. Poiché questa è u-na tradizione antica, tanti sono glianeddoti legati ai personaggi cele-bri di Napoli. Benedetto Croce, trauna disquisizione filosofica e l’al-tra, adorava gustare i raffioli a cas-sata.
Il non plus ultra della napole-tanità, il drammaturgo EduardoDe Filippo, era di gusti semplici efrugali, però sicuramente non di-sdegnava certe leccornie. Invece,il pirotecnico principe Antonio deCurtis, in arte Totò, come sullascena, così era nella sua vita priva-ta. Un golosone di prim’ordine, u-no che viveva l’arte gastronomicain modo passionale. Qualche suocontemporaneo racconta che neltempo di Natale, la sua automobileera carica di ogni bene divino.Proprio per questo il principe erala gioia l’onore di pizzicagnoli e dipasticceri.


Toto’: un “Ministeriale Scaturchiano”Secondo i dettami della “fisiognomica dolciaria”, l’architetto egastronomo napoletano Fabrizio Mangoni di Santo Stefano, hastatuito che Totò fa parte, dal punto di vista emotivo-caratteriale,della ristrettissima e ambita categoria dei “ministerialiscaturchiani”. La forma tonda di questo dolce contrasta con la notaasimmetria facciale del Principe, ma la copertura di cioccolato donaquel tocco di eleganza, qualità riconosciuta da tutti a questo grandeattore. Sotto la crosta dura di questo dolce prelibato, c’è il ripieno increma che può essere comparato alla nota bontà d’animodell’artista. Il principe Antonio De Curtis era di carattere conservatore, lodimostravano pure le sue manie araldiche, però lo svasamento deicontorni del “ministeriale” indica una propensione ad una certaeccentricità. I tipi alla “ministeriale” sono da prendere con ledovute cautele, cercando di infrangere poco alla volta la crostaesterna per far affiorare la cremosità del ripieno

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