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Le uova, a' purgatorio

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Le uova, a' purgatorio

Messaggioda TeresaDeMasi » 11/01/2014, 11:57

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Un piatto povero, molto usato a casa mia quando ero piccola, che racconta anche un po' del legame particolare e tuttora ancora molto vivo a Napoli tra i vivi e i morti.

A Napoli la morte è l’altra faccia della vita: non si scaccia, ci si allea per averne vantaggio. Un simbolo di questo è nel cimitero delle Fontanelle (dove spero di andare prima) o poi, dove le *capuzzelle* (i teschi, poveri resti di migliaia di morti di un'epidemia di peste) sono addirittura adottate dai vivi. E in cambio ne diventano legame con l'aldilà, che proteggono e guidano che è ancora in vita.
Le capuzzelle adottate, di solito, venivano messi in teche e venerati o per grazia ricevuta o per voto o per fede. Nacquero così numerose storielle, tra cui quella del Capitano.

"Questo teschio era stato adottato da una povera ragazza, ad esso ella rivolge tutte le sue cure e preghiere, supplicandolo perchè le facesse trovare marito. Così avvenne e, prima di andare all’altare, la giovane volle ringraziare il teschio per la grazia ricevuta. Il giorno delle nozze tutti erano attirati dalla presenza in chiesa di uno strano tipo vestito da soldato spagnolo; questi, al passaggio degli sposi, sorrise alla ragazza e le fece l’occhiolino. Il marito, ingelosito, lo affrontò e lo colpì ad un occipite con un pugno.
Tornata dal viaggio di nozze, la giovane si recò subito al cimitero per ringraziare ancora il suo teschio e lo trovò con una delle orbite completamente nera. Si gridò al miracolo ed il teschio in questione fu indicato come il “Teschio del Capitano”.
In seguito gli furono attribuiti anche altri miracoli."

(da “101cose da fare a Napoli, almeno una volta nella vita” NewtonCompton)

Dalle colline oggi chiamate “Colli Aminei” partivano quattro impluvi i quali, incidendo il tufo, lo mettevano a nudo creando dei veri e propri valloni, attraverso cui trovava recapito la cosiddetta “Lava dei Vergini”, colate di fango e detriti provenienti dall’erosione della coltre piroclastica che ammanta le colline circostanti.

La “lava dei vergini” per millenni ha eroso il vallone delle Fontanelle e della Sanità , creando le condizioni ottimali per l’estrazione del tufo che le leggi del ’600, le prammatiche, vietavano di cavare “intra moenia” per cui lo si prelevava “extra moenia” proprio in questa zona. La stessa strada, Via Fontanelle, rappresenta il vecchio impluvio sulle sponde del quale sono dislocate numerose cave che, fino al secolo scorso, hanno fornito i materiali da costruzione per l’attività edilizia di tutta la città e che oggi sono adibite ad usi più disparati: deposito di ulive, vetrerie, lavorazione di cioccolata, marmi, garages, cantine.

A metà del XVI secolo, la lava provocò un’enorme voragine nella strada delle Fontanelle, per cui si ordinò ai “salmatari di riempire la stessa con sfabbricatura”; questa notizia ci fa capire che già a quel tempo le Fontanelle erano praticate dai salmatari. All’epoca i morti venivano interrati nelle chiese, dove però non c’era più posto per cui i salmatari, di notte, li disseppellivano e li scaricavano nelle vecchie cave abbandonate. A seguito dell’ennesima alluvione, dalle cave fuoriuscirono molte salme e si racconta che gli abitanti della Sanità non uscivano di casa per non riconoscere i propri morti. Fu ordinato, quindi, ai salmatari ricomporli nell’ultima cava.

L’origine di questo ossario, però, si fa risalire al XVI secolo quando la città fu flagellata da tre rivolte popolari, tre carestie tre terremoti, cinque eruzioni del Vesuvio e tre epidemie e, essendo il luogo isolato, fu qui che vennero raccolti i cadaveri delle vittime. Micidiale fu la pestilenza del 1656, per cui i muri che chiudevano le cave furono di nuovo abbattuti e le stesse cave, secondo alcuni, accolsero 250.000 cadaveri su una popolazione 400.000 abitanti e, secondo altri, addirittura 300.000. L’architetto Carlo Praus racconta che nel 1764, “epoca memoranda di una esterminatrice carestia”, il Cimitero delle Fontanelle fu destinato dal Comitato di Pubblica Sanità a seppellire le salme della bassa popolazione, che non trovavano posto nelle pubbliche sepolture delle chiese all’interno della Città . Ed ancora il Praus, a seguito dell’editto di Saint-Cloud del giugno 1804, presenta nel 1810 un progetto per la costruzione di un vasto camposanto mediante l’ampliamento dell’antica necropoli delle Fontanelle.

Nel 1837, per provvedimento del Consiglio Sanitario, in seguito all’invasione del “colera morbu”, furono portati in questo cimitero altre salme. Nello stesso anno, essendo stato ordinato di togliere gli ossami da tutti i cimiteri delle parrocchie e delle confraternite e di portarli nell’Ossario delle Fontanelle, un gran numero di carri, scortati da confratelli e guardie, trasportarono in queste grotte cataste di resti mortali. Il cimitero rimase abbandonato fino al 1872, quando il parroco della chiesa di Materdei, Don Gaetano Barbati, con l’aiuto di popolane mise in ordine le ossa nello stato in cui ancora oggi si vedono e tutte anonime, ad eccezione di due scheletri: quello di Filippo Carafa Conte di Cerreto dei Duchi di Maddaloni, morto il 17 luglio 1797 e di Donna Margherita Petrucci nata Azzoni morta il 5 ottobre 1795; entrambi riposano in bare protetti da vetri.

Il corpo di Donna Margherita è mummificato ed il teschio ha la bocca spalancata come di chi sta per vomitare, per cui si dice che la nobildonna sia morta strangolata da uno gnocco. Nell’ordinare le ossa furono messe nella navata retrostante la chiesa quelle provenienti dalle parrocchie e dalle congreghe, per cui essa fu detta “navata dei preti”; la centrale fu chiamata “navata degli appestati” perchè in essa erano stati sotterrati questi morti. L’ultima è la “navata dei pezzentelli” perchè qui furono accomodate le ossa della gente povera. Così il cimitero entrò nel costume cittadino. Oggi, è insieme un luogo di culto e di macabro fascino, in cui si concentrano anche molte leggende e racconti di miracoli.

da [url=grandenapoli.it]www.grandenapoli.it[/url]

E tornando al piatto, proprio alle anime si ispira il nome di questa preparazione, che deriva dal fatto che il bianco dell'albume - che emerge dal rosso del pomodoro accanto all'arancio del tuorlo - ricorda le bianche anime , avvolte dal rosso e arancio delle fiamme, tanto spesso rappresentate così nelle immagini votive dedicate alle anime del purgatorio.

Per quattro persone, servono:

Uova fresche 8
Passata di pomodoro 750 gr
Olio extra vergine d’oliva 50 gr
Cipolla ramata di Montoro una piccola
Sale, pepe q.b.
Parmigiano o pecorino grattugiato quanto piace

Procedimento
Tirare la cipolla nell’olio e aggiungere la passata di pomodoro.
Salare.
Pepe. Abbondante se si vuol penare come ‘Mpriatorio.
Lasciare cuocere una buona mezzora e più.
(Oh, ma se avete del ragù avanzato va bene lo stesso, eh)
Nel finale sobollore della salsa disporre in padella le uova, ché non si rompano i tuorli!
A fuoco lento finché il bianco si rapprenda.
Ancora in padella parmigiano e pecorino una spolverata se piace.

ps. la ricetta è di Tommaso Esposito: non perché sia difficile, ma perché mi piace come l'ha scritta. :)
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